lunedì 23 maggio 2011

I sogni son desideri
 di Maurizio Bisozzi


I sogni son desideri di felicità, faceva canticchiare Walt Disney alla derelitta Cenerentola del buon Perrault, e non c'è da dargli torto. Si sogna di mandare a quel paese il capoufficio arrogante, di diventare belle e famose come Carla Bruni, di segnare un goal nella finale di Champions, di arricchirsi con il Superenalotto, o anche solo di vedere la suocera partire per un giro del mondo a piedi o il figlio adolescente cambiarsi i calzini più di una volta al mese.
Esiste un mercato fiorente dei sogni, su misura per le tasche del sognatore: si va dal perdere sette chili in sette giorni con la pillolina magica da pochi euro, fino a sentirsi irresistibili tombeur de femme mettendo in mano migliaia di euro a una giovane escort, passando per le centinaia di euro lasciati nelle mani del pataccaro agente che ci lancerà nel mondo dello spettacolo.
I sogni rincorrono il passato gonfiando seni e rialzando glutei, o volano nel futuro delle speculazioni di Borsa, non ce ne voglia Gianrico Carofiglio, ma per i sogni è il presente ad essere una terra straniera.
L'ultimo sogno, accantonati gli elisir miracolosi, non è sull'immortalità ma sulla data in cui
taglieremo l'ultimo traguardo. La notizia viene dall’Inghilterra, dove potrebbe essere messo in commercio tra poco un semplice kit per effettuare l’analisi del sangue e conoscere con relativa precisione quanto a lungo vivremo.
Inutile dire che il test sarà ovviamente venduto in farmacia, e dovrebbe approdare festosamente anche in Italia, nel solco dei nuovi servizi offerti al cittadino.
In fondo, se accanto a infermieri e fisioterapisti comparisse un'astrologa o una lettrice dei tarocchi, saremmo pure in grado di fornire indicazioni su numeri del Lotto da giocare e fidanzate da abbandonare, stato di salute in generale e, come ciliegina finale, indicare la data di scadenza di ciascuno.
Una freccia in più nella faretra della farmacia dei servizi. In questo caso, funebri.

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domenica 15 maggio 2011

E se il volante della farmacia
lo riprendessero in mano i farmacisti?

di Maurizio Bisozzi

Affermare che la farmacia italiana oggi si dibatta nelle difficoltà è ormai un eufemismo. Poteva essere un'asserzione valida fino a qualche anno fa, ormai siamo davvero sull'orlo del precipizio e quello che da molte parti si paventa è il decisivo passo in avanti. Nell’ultimo decennio, gli interventi pubblici hanno scavato dall’interno nei margini e nei redditi, gli interventi dei gruppi finanziari dall’esterno hanno scosso con violenza l’albero-farmacia nella speranza di farne cadere i frutti. Inutile stare a tediare i volenterosi lettori con la cronaca delle sconfitte subite nel periodo esaminato, gli effetti dei crolli di fatturato e delle insidie portate  al farmaco li avete quotidianamente sotto gli occhi
Da sempre facciamo i conti con  la duplice natura della nostra attività, delicatamente in equilibrio tra professione e commercio. Le due componenti, come i piatti di una bilancia, devono mantenere lo stesso peso, se non si vuole perdere l’equilibrio generale.
Il principale errore  commesso in questo decennio è stato di aver dato eccessivo spazio alla fronte bottegaia del Giano farmacista, accendendo riflettori ed esaltando unicamente l’aspetto commerciale delle farmacie.
Come in medicina, azzeccare la diagnosi significa essere ben avanti sulla strada della terapia, vediamo di proporre qualche medicina valida Assodato che rincorrere la GDO ci condurrebbe alla stessa misera fine di tante attività al dettaglio, risulta elementare che occorre far leva sulla specificità del commerciante in questione, sottraendolo al Maelstrom che si è ingoiato panettieri, macellai, fruttivendoli e dettaglianti vari. Occorre cioè riportare urgentemente in equilibrio la bilancia descritta prima, alleggerendo il piatto del commercio e spingendo forte sul piatto della professione. Non me ne vogliano gli illustri dottori Mandelli e Racca, ma non sarà mai la tanto decantata farmacia dei servizi, così come è stata impostata, a risollevare le nostre sorti e questo per due ordini di motivi, uno di impostazione e l’altro pratico.
Cominciamo dal primo: se il farmacista vuole ampliare e fortificare la propria radicazione territoriale, deve farlo puntando sulla propria professionalità e non tirando la volata a soggetti terzi. Il recupero della centralità della nostra figura non passa attraverso l’organizzazione di prestazioni altrui, o vicariando impiegati di concetto. Prenotare visite o inviare infermieri e fisioterapisti a domicilio  non ci scrollerà di dosso l’ancillarità di un ruolo che ci ha visti per anni terminali ciechi della prescrizione medica, semplice braccio distributivo tra produttore e utilizzatore finale. Una impostazione dei servizi di questo tipo ci renderà facilmente sostituibili con un buon esperto di logistica, senza laurea in farmacia.
Passando al secondo corno del dilemma, non stiamo a prenderci in giro o a lanciare slogans elettorali: non si fanno le nozze con i fichi secchi ed è velleitario indicare con fierezza questa soluzione per la  crisi economica delle farmacie se tale soluzione non ha la minima copertura finanziaria da parte della Regione.
Se vogliamo difendere quello che resta delle nostre aziende, i nostri capitani devono avere il coraggio di cambiare completamente rotta, nel metodo  quanto nel merito.
Nel metodo, alla luce di quanti e quali danni ha provocato negli anni la continua erosione di margini economici e di figura professionale; è ora di finirla con l’attendismo spaurito che ha caratterizzato le iniziative del nostro sindacato, a fare sempre la parte del topo nella lotta con la controparte gatto, si finisce per forza male. Le mutazioni sociali e culturali fanno parte dell’ordine delle cose e intercettarle e comprenderle significa  in qualche modo guidarle e indirizzarle
E' ora di proporsi come soggetti attivi e propositivi, attori e responsabili del nostro futuro e buttare alle ortiche la meritata immagine di casta chiusa gelosamente a difesa di prerogative usurate dal tempo.
Entriamo nel merito e riprendiamo il discorso dei servizi: non scimmiottiamo i centri-benessere e non miracoliamo al cittadino le nostre capacità impiegatizie nel prenotare visite, ma proponiamoci come “assistenti del paziente” per tutto ciò che concerne il farmaco, dalla corretta conservazione alla giusta somministrazione, dalla compliance alle interazioni con altri farmaci e/o alimenti. Piantiamola di svuotare di contenuti scientifici il corso di laurea in farmacia per introdurre materie come marketing o informatica, cerchiamo per una volta di fare i nostri interessi e non quello delle aziende che devono fatturare in farmacia.
Non accettiamo le draconiane limitazioni che il Garante della Privacy ci vuole imporre sul trattamento e la conservazione dei dati sensibili del paziente, (non più di due settimane) ma rovesciamo completamente il discorso. I dati sanitari del paziente ( farmaci assunti, reazioni avverse, analisi cliniche, referti, cartelle cliniche) verranno raccolti e gestiti dal farmacista che diventerà il principale autore del Fascicolo Sanitario del cittadino, quel moderno e agile sistema che consentirà a ogni sanitario abilitato ad avere accesso rapido ed immediato a tutte le informazioni di sua pertinenza sul paziente in esame, sia un urgenza di Pronto soccorso, che in una semplice anamnesi clinica. Qui possiamo chiedere un riconoscimento economico che non andrà a pestare piedi ad analisti o medici, già innervositi da quella che, giustamente, considerano un’invasione di campo.
Questo  significa riportare il farmacista al centro, fulcro professionale di una farmacia che offre servizi nei quali venga esaltata la peculiarità del professionista, altro che massaggiatrici più o meno a domicilio.
Così  si spinge sul piatto “giusto” della bilancia e non ci si rende sostituibili con un distributore automatico. Continuando sullo stesso sentiero, va recuperata la funzione che ci ha visto nascere e che ancora oggi giustifica la nostra esistenza, e cioè l’allestimento del farmaco. Ormai da più parti si levano  allarmi per una standardizzazione della terapia che soddisfa più il produttore che le esigenze terapeutiche di medici e pazienti. Dosaggi inadatti per anziani e bambini, difficoltà nel somministrare al paziente il corretto dosaggio di farmaco a lui necessario, eccipienti non adatti alla totalità della platea di malati. Perché non riappropriarci di qualcosa che è sempre stato nostro e abbiamo ceduto praticamente gratis alla confezione industriale? Perché non reintrodurre nella nuova Convenzione le preparazioni magistrali e galeniche, quelle che nessun supermercato potrà mai esibire sui suoi scaffali? Magari rivedendo una Tariffa Nazionale che non viene aggiornata da prima che nascesse Ruby...
Non è ulteriormente sopportabile l’umiliazione professionale di vedere interdetta al farmacista la preparazione e la vendita, senza presentazione di ricetta medica, di farmaci che il cittadino preleva direttamente dallo scaffale e paga alla cassa. E’ intollerabile che ci venga precluso quello che è concesso alla televisione e cioè  il consiglio di una formulazione da noi allestita e catalogata come Otc: ne perdiamo in immagine pubblica e in  reddito privato.
Sempre in tema di professionalità, cerchiamo di farle fare rima con responsabilità e non solo nella lingua italiana. Potremmo introdurre una categoria di farmaci intermedia tra la fascia C e l'Otc, chiamandola, ad esempio, Dietro Consiglio del Farmacista. Molecole di comprovata efficacia e maneggevolezza, da vendersi però solo con l'approvazione del farmacista, introducendo quindi un attore attivo tra produttore e consumatore. Presenta indubbiamente dei rischi assumersi una responsabilità personale nell'indicare un farmaco, ma ci offrirebbe un risalto verso il paziente oggi negato dalla passiva distribuzione dietro ricetta medica, o dalla vendita senza la stessa.
Rivendicare la professionalità di un ruolo significa anche rifiutare decisamente l’umiliante mercanteggiare sul prezzo di un farmaco. Umiliante e incostituzionale, visto che la Carta dei Padri Fondatori della Repubblica garantisce uguale accesso alle cure per tutti i cittadini, senza discriminare se il paziente può procurarsi l’aspirina in un hard-discount o nella farmacia rurale montana.
La tanto decantata concorrenza è sacrosanta, purchè avvenga sulla prestazione e sulla capacità dei professionisti e non sul loro estro commerciale; ne consegue il ritorno al dignitoso e democratico prezzo uguale su tutto il territorio italiano e imposto per legge. Se il governo è così attento al risparmio del cittadino, abbassi il prezzo quanto vuole, distribuendo il derivante sacrificio su tutta la filiera e non solo su di noi, ultimo incolpevole gradino.
Dobbiamo poi avere il coraggio di affrontare noi il nodo della libertà di professione, per evitare che lo facciano altri a proprio esclusivo vantaggio. Qui riaffiora il pensiero debole del sindacato, incapace di proposte di respiro e timoroso di passi che potrebbero far vacillare le preziose poltrone dei vertici. Sminuire la nostra immagine, staccandola dall'Otc al solo scopo di strizzare l'occhio alla GDO nella speranza di “ridurre il danno”, altro non ottiene che raddoppiare lo stesso danno nel volgere di breve tempo. Migliaia di colleghi che premono rivendicando la possibilità di esercitare liberamente la professione potrebbero in futuro essere di nuovo cavalcati dal politico di turno, ben felice di crearsi a costo zero una folta platea elettorale. Lo scenario che ci troveremmo davanti, al momento di un ipotetico rovesciamento dei rapporti di forza parlamentari, sarebbe il seguente: Otc in libera vendita negli esercizi commerciali, dal supermercato al tabaccaio e una liberalizzazione selvaggia delle aperture dei parafarmacie con inevitabile fascia C nella disponibilità del collega. Fine delle farmacie capillarmente diffuse sul territorio, uniche sopravvissute sarebbero le mega-farmacie promosse al rango di mini-cliniche.
Per una volta nella nostra storia di timorosi incapaci di gestire i cambiamenti, abbandoniamo la  sindrome della lepre ipnotizzata dai fari della automobile in arrivo, che ha paralizzato da sempre le iniziative di Federferma, e proviamo a prendere noi in mano il boccino e guidare il gioco: regolamentiamo la libera professione, abbandonando furbate e privilegi.
Si tratta di avere il coraggio di rivendicare l'essenzialità del farmacista, vietando la vendita di farmaci di qualunque tipo senza la presenza del farmacista, creare una pianta organica delle parafarmacie, con distanze tra le stesse e le farmacie, nel rispetto di un quorum di abitanti.
Consentire – ad esempio - l'apertura di una parafarmacia per sede farmaceutica nei Comuni fino a 5000 abitanti e una ogni due-tre sedi nei Comuni con popolazione superiore, ad una distanza minima di 500 metri, si opporrebbe alla proliferazione selvaggia ed incontrollata di esercizi parafarmaceutici che oggi come oggi sono liberi di aprire anche accanto a farmacie esistenti.
Vietiamo la proprietà delle parafarmacie a soggetti estranei alla professione – supermercati e catene commerciali – che si muovono nell'esclusiva ottica della speculazione commerciale, come anche ai titolari di farmacia che è giusto si occupino solo della propria attività, se vogliono ancora sentirsi definire professionisti. La concorrenza ci sarà e sarà di stimolo per migliorarsi e migliorare il servizio al cittadino, ma basata solo sulla qualità dell'individuo e non sul lato commerciale.
Teniamo a mente che quello che  distingue il professionista e che dobbiamo rispolverare, è l'intuitus personae, non lo sconto sull'Enterogermina.
I colleghi titolari di parafarmacia potrebbero gestire la fascia C e la neonata DCF, i cui prezzi – come per l'Otc – resterebbe uguale su tutto il territorio nazionale, stroncando le ambizioni bottegaie di chi vede il farmaco come un qualsiasi bene di consumo.
Si tratta di mostrare la lungimiranza di cedere qualcosa oggi per proteggere il nostro futuro, riprendendo in mano il volante che per anni abbiamo lasciato in mani estranee agli interessi del servizio farmaceutico.
Altre soluzioni sono solo un ingannare il tempo e noi stessi in attesa della fine.

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lunedì 9 maggio 2011

Davvero poteva andare peggio?


di Maurizio Bisozzi

Maggio, mese di fioritura per alberi da frutto e per elezioni. Per i primi ci sarà da aspettare l'estate, i frutti delle seconde li raccoglieremo nelle prossime settimane: si voterà per rinnovare molti consigli comunali e quello di Federfarma. Tralasciando i primi, diamo un'occhiata al nostro orticello, voltando rispettosamente le spalle alla dirigenza del sindacato e puntando le telecamere verso il pubblico. Lasciamo quindi i confronti e le accuse reciproche, battibecchi e recriminazioni e diamo un'occhiata in platea.  Mentre sul palcoscenico gli attori si contendono il ruolo di primadonna e discutono su chi è la più bella del reame, cosa fa il pubblico in sala?
Per interpretare l'atteggiamento tenuto dalla base del sindacato credo sia utile rispolverare la vecchi a teoria di Samuel Taylor Coleridge. Il grande poeta inglese elaborò il concetto di “sospensione dell'incredulità” per spiegare il particolare stato del lettore – o dello spettatore nel nostro caso – volto ad impedire l'utilizzo delle proprie facoltà critiche nei confronti di un'opera. Questo limbo del raziocinio consente al fruitore finale (utilizzatore mi sembra di discutibile quanto abusato gusto) di godere appieno del lavoro di fantasia dell'autore, tralasciando le inconsistenze secondarie che renderebbero impossibile il godimento di una poesia o di una pièce teatrale.
Inutile elencare i grandi che hanno goduto di questa particolare trance intellettiva dello spettatore, da Shakespeare a Beckett, fino ai più freschi Cerami o Benni. L'autore spalanca le ali dell'immaginazione e invita il pubblico a seguirlo, abbandonando le peculiarità critiche proprie del razionale e trasportandolo in spettacolari voli mozzafiato della mente.
Bene, l'impressione che si riceve da parte della platea dei farmacisti è che l'ultimo decennio in particolare sia stato vissuto sotto l'ipnosi di questa magia dell'arte. Il pubblico è rimasto per anni soggiogato, preda della fascinazione esibita dagli attori sul proscenio, dalla loro abilità oratoria, dall'affabulazione nel consolarli e incoraggiarli che “sarebbe potuto andare peggio”.
Già, il peggio. E’ stato lui il filo conduttore di una serie di tragedie messe in scena nel teatro di via Emanuele Filiberto, in questo decennio che ha visto la professione del farmacista prima cadere preda delle avide tentazioni del mercato e quindi, una volta spalancate dall'interno le Porte Scee, vedersi imporre le dure leggi dei vincitori.
Da sempre si discetta sull'ambivalenza della figura del farmacista, l'unico professionista la cui anima e ragione di esistere siano impossibile disgiungere da quella del commerciante.
Finchè si è potuto camminare sul delicato filo che univa i due corni del dilemma, mediante la rivendicazione e l'esaltazione delle competenze professionali specifiche del nostro corso di studi, l'equilibrio è stato mantenuto. Il punto di crisi e di rottura è arrivato alla prima spallata inferta da chi aveva interesse alla trasformazione di ruolo dell'istituto della farmacia.
La pratica degli sconti, l'esibizione delle offerte commerciali su Otc e Sop, il mancato rispetto di turni e orari, la banalizzazione del bene-farmaco ci ha riempito per un po' le tasche, mentre ci svuotava di valore le aziende e di futuro la professione. Quello che da allora è seguito nasce da quella che possiamo definire la madre di tutte le castronerie.
La colpa – o il merito, dipende dall'angolazione da cui si guarda – degli attori è stato quello di non creare l'allarme necessario tra le fila dei difensori della farmacia. Perfino le oche del Campidoglio all'epoca svolsero con più attenzione il loro lavoro.
La colpa – e qui di meriti non ne riconosco – del pubblico è stata quella di cadere nelle
rassicurazioni, se non nell'esaltazione delle grandi vittorie sindacali riportate, negli inviti alla calma che ancora oggi ci arrivano dal palcoscenico.
La realtà che oggi abbiamo davanti è quella di meri commercianti,  con tutto il rispetto per un'attività dignitosa ma non professionale, con la conseguente rottura della bipolarità cui facevo cenno prima, con l'inevitabile imposizione di aggiungere la beffa dei servizi offerti al cittadino al danno subito con la espropriazione in termini quali-quantitativi del nostro core business, il farmaco etico.
Una lettura ecclesiale, e per nulla lusinghiera, suggerisce che Nostro Signore cacciò i mercanti che si erano intrufolati nel Tempio, nel nostro caso l'operazione sarebbe stata impossibile, essendo i mercanti i proprietari stessi del tempio-farmacia.
Suddivise equamente le responsabilità, resta solo di risvegliarsi dalla sospensione dell'incredulità che ci ha attanagliati per anni e pretendere dagli attori in scena una rappresentazione più credibile e attinente alla realtà delle cose. Qualora si provvedesse all'avvicendamento degli attori, mantenendo inalterato il copione, non resterebbe che alzarci e cambiare teatro.
Il Muro di Berlino cadde per l’iniziativa dei popoli dell’Est europeo che, si disse all’epoca, non potendo votare con le mani, “votarono con i piedi”. Abbandonarono cioè semplicemente i Paesi di origine e in vario modo fuggirono in Occidente. Forse per una categoria che ha spesso votato con i piedi, potrebbe significare il primo utilizzo intelligente degli arti in questione?


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domenica 8 maggio 2011

Servizi esclusivi
 di Maurizio Bisozzi

Esclusivo: agg., che appartiene solo a un singolo o ad alcune persone, gruppi e similari; elitario, riservato a una cerchia selezionata; unico prodotto in un solo esemplare.
Queste sono le definizioni che si incontrano sui dizionari più comuni. E esclusivo è comunque l’aggettivo che meglio descrive i nuovi servizi in farmacia, appannaggio di pochi, forse pochissimi e per più di un motivo.
Cominciando dal più terra terra, sono a pagamento e lo rimarranno fino a che la Regione non avrà risistemato le traballanti finanze. Questo esclude una robusta fetta – quasi tutta la torta - di cittadini che sono soliti accedere alle analisi e ai trattamenti fisioterapici in regime di SSR, e se ne guardano bene dal venire a ricevere a pagamento da noi quelle prestazioni che altrove hanno gratis.
Quando e se la Regione avrà reperito fondi per analisi, infermieri e fisioterapisti, ci sarà da sgomitare con le strutture ambulatoriali esistenti e accreditate che non vedranno certo di buon occhio la distrazione dei fondi a loro destinati a favore delle farmacie.
Abbiamo intuito quanta scarsa diffusione potrà avere tra i pazienti l’innovazione che dovrebbe salvare la farmacia del terzo millennio, ora vediamola dall’altra parte del bancone, cioè la nostra.
Per attuare i servizi previsti dai Decreti, la farmacia dovrà poter godere di spazi e autorizzazioni pari ad un laboratorio di analisi o infermieristico; su questo, almeno la Regione Lazio è stata tassativa. Quindi ambienti dedicati, rispetto di normative per quanto concerne illuminazione, ventilazione, riservatezza, smaltimento dei rifiuti organici, piastrellatura a soffitto e lavabilità delle pareti, uscite di sicurezza. Insomma il rispetto di una serie di obblighi – indiscutibili quanto costosi – che ridurranno a una manciata le farmacie nella Capitale in grado di poter soddisfare tutti i requisiti previsti dai meravigliosi decreti attuativi della farmacia dei servizi.
Ecco giustificata l’apertura del pezzo: elitario, riservato, addirittura un po’ snob e sofisticato. Non per tutti e nemmeno per molti, anzi per pochissimi, come un abito su misura. Su misura mi fa ronzare qualcosa per la testa, un aspetto ricorrente nella vita nazionale degli ultimi anni, come un retrogusto di provvedimenti non presi nell’interesse generale dei cittadini, ma solo per vantaggio di pochi, a volte addirittura solo uno.
Non riesco ancora a mettere bene a fuoco la sensazione, ma c’è un che di stonato in leggi che vengono emanate per favorire non la cittadinanza in generale e la maggioranza delle farmacie, ma solo alcune, individuate sin dall’inizio dell’iter di legge; avete presente quei concorsi truccati dove i requisiti per il successo sono talmente severi e vincolanti che si usa dire abbiano già nel bando il nome del vincitore?
Ecco, vivo la spiacevole e per nulla democratica sensazione che non esistano solo leggi ad
personam, ma da pochi giorni anche decreti attuativi ad farmaciam ( e che il professore di latino del liceo mi perdoni la licenza).
Sono certo di sbagliare e che il Presidente Mandelli, fautore di questa innovazione sin dal 2006, potrà dissipare, dati alla mano, la sgradevole percezione diffusa nella categoria di un provvedimento a beneficio di una trascurabile minoranza di farmacie.
Delle prenotazioni e degli obblighi severissimi imposti dal Garante della Privacy nel trattamento dei referti da consegnare al paziente, sarà meglio parlarne in un altro momento…

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lunedì 2 maggio 2011

Trucchi e inganni
Intervista impossibile a Mandrake il Mago
di Maurizio Bisozzi

Mister Mandrake, grazie per aver accettato il mio invito. Posso avere cilindro e mantello?
− Ma sta scherzando? Non sarei più io. Ricordi che sono un personaggio illusorio e perderei la mia aura magica. E poi tra mantello e cilindro nascondo gran parte dei miei trucchi.
− E dov'è il suo assistente Lothar, non lo vedo accanto a lei. E'  il primo dei suoi trucchi?
− No, assolutamente. L'ho lasciato giù al parcheggio a sorvegliare che non ci siano ragazzette procaci a chiedermi 60 mila euro per una macchinetta depilatoria o seggi in qualche Consiglio regionale, quando andrò a riprendere l'auto. Sembra che qui da voi siano
richieste impossibili da respingere per noi uomini di spettacolo.
− Ha saputo anche di questo?!
− Be', sono un mago sì o no? E poi ho visto i servizi sulla CNN e letto i commenti su Facebook.
− Scusi ma così non vale! Allora posso fare il mago anch'io.
− Ha ragione, sono tempi duri per noi illusionisti, ci stanno portando via il lavoro.
− A chi si riferisce?
− All'informazione, a quello che chiamate il villaggio globale.
− Mi faccia un esempio
− Quanti ne vuole, mio caro: sui referendum del 12 giugno nemmeno una parola, ma i
giornali ci informano minuto per minuto sul Grande Fratello o sull'Isola dei famosi; si
esalta l'arrivo di due milioni di pellegrini per la beatificazione di Wojtyla e si sparge terrore per l'accoglienza data a 20 mila disgraziati in fuga dai loro Paesi in fiamme; il 90% delle violenze sessuali avviene all'interno delle famiglie, ma sul giornale ci finisce sempre il
rumeno o l'africano di turno....
− Ma sono degli sbandati, dei senza dimora..
− E allora dategliela, 'sta casa, così potranno stuprare in santa pace come voi.
− Mister, lei è troppo astioso e ingiusto.
− Ha ragione, chiedo scusa per lo sfogo, ma tutto questo mistificare è puro illusionismo e
concorrenza sleale che mi sta portando via il lavoro! Come posso sperare che la gente mi
dia ancora retta se basta accendere la Tv e assistere a migliaia di euro che entrano e escono dai pacchi che un abile imbonitore da fiera fa roteare sotto gli occhi dei concorrenti?
− Devo dire che non ha tutti i torti, ma la Tv deve essere anche un po' fantasia e sogno. La vita reale è diversa.
− E proprio lei parla così? Lei non è un farmacista?
− Sì, e allora?
− Ma come, con quelle meravigliose scatole magiche che sono la sanità in Italia, lei mi parla ancora di realtà e credibilità? Una sanità che assiste all'incriminazione, alla condanna e all'incarcerazione dei propri funzionari disonesti e che non appena questi escono di galera grazie ai benefici di legge, li reintegra nel ruolo dove rubavano? O che sposta magicamente le voci di spesa da una colonna a un'altra del bilancio facendo figurare un risparmio fittizio e del tutto inesistente?
− Vuole forse alludere alla distribuzione diretta dei farmaci tramite Asl e ospedali?
− E non solo. Tutti quegli scambi di ruolo, dal mio punto di vista sono illusionismo allo stato puro.
− Stavolta non la seguo, mister mago, sia più chiaro...
− Vede, per me è facile svelare i trucchetti, le prestidigitazioni dei colleghi che dirigono la sanità nel vostro Paese, voi siete solo il pubblico e ormai nemmeno vi accorgete più della loro abilità nel cambiare le carte in tavola. Non solo avete assistito alla esoterica trasformazione di medici specialisti e di portantini in farmacisti che consegnano terapie ai malati, non solo avete assistito alla trasformazione dei farmacisti in impiegati di concetto che – a carico vostro!- scrivono codici fiscali, controllano note Aifa, prenotano visite e consegnano referti, ma state ancora applaudendo entusiasti alla destrezza del numero. Potenza della magia e dell'illusionismo. Davanti a tanta abilità, non ho speranza di futuro: mi ridurrò a leggere i tarocchi nelle feste di paese...

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domenica 1 maggio 2011

Slanci umani
di Maurizio Bisozzi

Viviamo tempi difficili, diciamolo pure. Sballottati tra crisi economiche e delle istituzioni,
sconcertati da politici che cambiano continuamente posizioni come un insonne nel letto, angosciati da omicidi efferati e minacciati dall'incubo di una guerra alle porte di casa. Aggiungiamo crisi di valori e di riferimenti, adolescenti che sprangano carabinieri, magistrati additati come terroristi.
In questo festival della violenza e dell'egoismo, brilla solitaria, come la prima stella al tramonto, la mano tesa della presidente Racca verso chi si dibatte in estreme difficoltà.
Incurante dei colpi di maglio che stanno demolendo la farmacia italiana, dalla rapina dell'1,4% “per l'Abruzzo”(!) all'estorsione – pardon volevo dire vittoria – dell'1,82% sul fatturato SSN, dallo stillicidio di una distribuzione diretta che svuota ogni giorno di più scaffali e fatturato, fino alla devastante riduzione di prezzo di rimborso dei generici, la nostra massima rappresentante sindacale non perde di vista chi sta peggio di noi, quelli che soffrono veramente.
Ci sono slanci umani davanti ai quali non si può restare impassibili, un groppo alla gola ci assale, un nodo formato da carità e comprensione dei problemi dell'altro. Ed eccola correre rassicurante come una crocerossina al capezzale di una agonizzante GDO minacciata dal perfido riordino farmaceutico ordito ai suoi danni, levare lo scudo a difesa di un organismo sofferente e lenire le ambasce indicando la luce, la speranza in un futuro migliore.
Stiano tranquilli i CdA di Coop e Conad, di EsseLunga e Auchan, i farmacisti sono pronti a
versare il proprio sangue nei loro registratori di cassa. Secondo il presidente di Federfarma, infatti, il ddl Tomassini-Gasparri "è proprio un'apertura alla Grande Distribuzione, in quanto l'eliminazione dell'obbligo del farmacista per la vendita di medicinali di automedicazione comporterebbe una riduzione dei costi, un aumento della concorrenza e un sensibile calo dei prezzi di questi medicinali”.
Le farmacie potranno anche licenziare il personale e chiudere i battenti, strangolate da concorrenza sleale, provvedimenti iniqui e balzelli insostenibili, ma la GDO potrà contare su riduzione dei costi, calo di spese e miglioramento dei bilanci. 
Spero che ora chi accusa i farmacisti di insensibile egoismo di casta sia servito e si vergogni di fronte alla cura che il nostro massimo rappresentante sindacale pone nel difendere i redditi della povera GDO.
Speriamo solo che l'esempio si propaghi e che in nostro soccorso corrano i postelegrafonici e gli assistenti di volo, il sindacato dei minatori e le associazioni dopolavoristiche, gli odontotecnici e le guide alpine. Ne abbiamo urgente bisogno.


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