lunedì 21 novembre 2011

Una proposta sugli sprechi
di Maurizio Bisozzi

“Da rifiuto a risorsa” era il tema del concorso bandito anni fa dalla onlus Italia Nostra nelle scuole italiane. Scopo del concorso era sensibilizzare i giovani sul tema della trasformazione dei rifiuti recuperabili, su come un'apparente spesa potesse rivelarsi un’utilità. Spero nessuno si offenda, se prendo in prestito quello slogan e lo trapianto nel mondo delle farmacie.
Diciamolo, da anni la figura della farmacia viene interpretata da politici ed economisti come fattore di spesa, eccessiva e inutile, ad esclusivo vantaggio di una casta di privilegiati e come tale da ridurre, se non abbattere.
Immagine non condivisa dall'utente del servizio, ogni inchiesta condotta presso il cittadino pone la farmacia al vertice di gradimento tra i servizi sanitari offerti alla comunità.
Questa discrepanza tra chi usufruisce di un servizio e chi ne legge solo i costi economici, nasce probabilmente da un errore di fondo della categoria: il non aver mai abbastanza evidenziato agli occhi della parte critica non solo il valore sociale del farmacista, ma quello del potenziale risparmio che il professionista può rappresentare.
Senza perdere di vista il concetto di salute come bene immateriale e come tale valore abbia inevitabilmente un costo, sarebbe bene – ed economicamente premiante – utilizzare le nostre eccellenze professionali. Aldilà delle vuote dichiarazioni di intenti.
I tempi sono difficili per le casse dello Stato come per le tasche dei cittadini e per i bilanci delle imprese, farmacie in testa. Forse è arrivato il momento di recuperare le nostre radici, mettere in secondo piano il puro aspetto bottegaio che ci espone ad una letale concorrenza sui prezzi e a rivendicazioni di parti che professionali non sono, quantificare allo Stato i vantaggi di avere operatori altamente qualificati al servizio non della spesa, ma del risparmio pubblico.
Cominciamo dal ridurre gli sprechi: gli anglosassoni hanno un termine, waste, secco e preciso come solo la lingua inglese sa essere, a indicare lo sperpero, il rifiuto, lo spreco appunto. Ogni anno in Italia l'Istat quantifica il waste farmaceutico in oltre 700 milioni di euro. Questo fiume di risorse perdute è formato dai rigagnoli di confezioni industriali avanzate dalla terapia, in quanto sovradimensionate rispetto alle esigenze del malato.
Aggiungiamo a questo lo spreco di confezioni al contrario insufficienti a coprire le necessità di un paziente cronico, iperteso o diabetico che sia. Abbiamo in commercio antiipertensivi da 14, massimo 28 compresse, quasi a immaginare la miracolosa guarigione del malato dopo quel breve periodo.
Bene, noi abbiamo la competenza professionale per allestire in laboratorio la corretta posologia richiesta dal prescrivente per il giusto periodo di tempo, evitando inutili sprechi e realizzando un'importante economia di scala nei pazienti bisognosi di cure a lungo termine.
L'allestimento del medicamento con sull'etichetta il nome del paziente, la posologia e le modalità di assunzione vanno inoltre incontro al gradimento del paziente, in particolare se anziano, spesso disorientato dalle tante confezioni dei diversi generici in circolazione, e talmente incerto sulle modalità di assunzione da scriverle ogni volta sulla scatola.
E veniamo ora alla scatola: avete un'idea di quale costo e impatto ambientale comporti l'eliminazione di blister e scatolette di farmaci vuote? Altri milioni di euro risparmiati semplicemente riportando in farmacia il flacone che il farmacista andrebbe a riempire con il nuovo ciclo terapeutico. Sì, come si faceva una volta con la bottiglia del latte e che ora si cerca di riproporre per molte categorie merceologiche.
La personalizzazione della terapia consente inoltre al farmacista di scegliere l'eccipiente più adatto al paziente, nel rispetto di eventuali allergie ignorate dalle confezioni industriali ( glutine, lattosio). Molti pediatri lamentano la difficoltà di dover somministrare ai loro piccoli pazienti dosi di farmaco calibrate solo per l'adulto, il farmacista può con facilità allestire il prodotto nelle dosi e quantità richieste dal curante. Il controllo diretto della terapia da parte del farmacista realizzerebbe con semplicità quella presa in carico del paziente di cui oggi giustamente si parla, migliorando l'aderenza alla terapia in particolare dell'anziano.
Riassumiamo schematicamente:
a) risparmio sullo spreco nell'utilizzo del farmaco;
b) risparmio grazie all'economia di scala per le terapie croniche;
c) risparmio sullo smaltimento delle confezioni esaurite;
d) vantaggio a costo zero per il paziente affetto da allergie ad alcuni eccipienti;
e) maggiore compliance da parte del malato per semplicità di istruzioni;
f) presa in carico del paziente con abbattimento dei costi da effetti iatrogeni.

Il risparmio totale supera ampiamente quello ipotizzato dalle gare di appalto per categorie terapeutiche che il collega Giorni vorrebbe adottare in Toscana, restituendo al farmacista la sua giusta collocazione sociale e dimostrando al politico come il “rifiuto” sia in effetti una grande risorsa.
Abbiamo le risorse professionali, siamo conoscitori del farmaco come l'ittiologo lo è del pesce. Dobbiamo solo recuperare il nostro ruolo e finirla di presentarci come semplici pescivendoli. Il pescivendolo finisce al supermercato, l'ittiologo no.


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mercoledì 2 novembre 2011

Lavori usuranti

di Maurizio Bisozzi

Spero si intervenga in tempo, non posso pensare che nel prolungamento dell’età pensionabile siano inclusi anche i lavori usuranti, come lo sportellista di Posteitaliane, Roma Aurelio.
Un tranquillo giovedì mattina mi decido finalmente ad andare a ritirare la raccomandata giacente presso detto ufficio. Già so che è una multa: mia moglie è una fantastica persona, però guida come un cane drogato. Nobody is perfect.
Entrando nell’ufficio postale mi si spalanca il cuore: ben quattro sportelli sono dedicati al ritiro e spedizione raccomandate e dal numero sputato dall’eliminacode deduco che ho davanti a me non più di una manciata di persone. Mi siedo, sorridendo soddisfatto alla ragazza della sedia accanto e ricevendo in cambio la valutazione di perfetto imbecille.
C’è poco da sorridere, ha ragione lei: dei quattro sportelli, tre sono vuoti.
Intendiamoci, sulle spalliere delle sedie campeggiano le giacche degli impiegati, ma nessuna traccia dei rispettivi proprietari. Forse le hanno lasciate lì per occupare i posti, con tanti disoccupati in giro non si sa mai. Dopo una decina di minuti compare uno dei dispersi, sfoggiando una tuta da ginnastica da far invidia ad un ricoverato del CTO. Ipotizzo che gli serva per muoversi con maggiore agilità tra timbri e scaffali, ma l’incedere
non conferma l’ipotesi. Si accomoda ben bene e inizia a discorrere con l’unico impiegato al lavoro agli sportelli, che ha avuto la curiosità di chiedergli che fine avessero fatto gli altri colleghi. Dopo una lunga e pare soddisfacente relazione in merito, si decide ad attivare il chiama-numeri.
La prima cliente deve ritirare una raccomandata, e l’atleta di Posteitaliane scompare con passo pensoso dietro gli scaffali. Per fortuna sta rientrando al proprio posto una collega, forse ritrovata grazie a “chi l’ha visto?”. Un utente, senza regolare numeretto, la approccia: ha bisogno di ricevute di ritorno, assenti sui banconi. La ragazza si rialza prontamente e annuncia che va a cercare l’impiegato addetto alla distribuzione delle cartoline. In compenso si rivede la quarta e ultima impiegata, dopo circa venti minuti di assenza. Si siede e istantaneamente si spegne il display sopra la sua postazione. Smanetta con il computer, poi chiama in aiuto l’unico collega operativo alla postazione accanto. Ai due si aggiunge l’atleta di ritorno e tutti attorno al capezzale del display concordano che si è bloccato qualcosa. Verrebbe da far presente che la diagnosi è applicabile anche alla fila degli utenti, ma non credo intereressi loro più di tanto. Viene quindi convocata una quarta impiegata dalle retrovie, ma non per il servizio di sportello, ma per aggiungersi ai tre e confermare la diagnosi di blocco.
Lo stato di salute del display deve preoccupare davvero tanto, visto che nessuno ha il coraggio di abbandonarlo e tornare al proprio posto. Forse hanno paura che peggiori.
Torna quella delle ricevute di ritorno e annuncia che il collega è introvabile: c’è da crederle, dal tempo trascorso deve avere ispezionato accuratamente anche cantine e soffitte dell’edificio.
Viene comunque proposto all’utente bisognoso di 14 cartoline, l’acquisto di un pacchetto da 200 tagliandi atti allo scopo. Mi allontano, mentre i toni salgono allo scendere della pazienza degli utenti, pensando che la saggia presenza di cristalli massicci sopra i banconi non è a difesa del denaro, ma delle persone.
Sorrido dentro di me al pensiero degli accordi che si vanno via via firmando tra Regioni e Posteitaliane per prenotazioni visite o distribuzione farmaci. Ma nessun funzionario della Regione ha mai messo piedi in un ufficio postale?
Per la multa proverò ancora; per pagare o morire c’è sempre tempo e il placido distacco degli impiegati postali dalle terrene angustie esalta questo proverbiale assioma.


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