lunedì 18 luglio 2011

Il marcreting
di Maurizio Bisozzi

Va bene, mi arrendo. Sono un farmacista che deve mettere momentaneamente da parte le proprie conoscenze professionali  e che invece di approfondire studi e specializzazioni nel campo specifico ha il dovere di ampliarle in altre direzioni. Ormai lo affermano tutti i personaggi di caratura della categoria, sulle riviste non si legge di altro, finisce che hanno davvero ragione.
Viviamo al passo con i tempi, mica vorremo finire come i dinosauri, no?  Vediamo un po' da dove cominciare: l'outsourcing strategico per creare una partnership con i leaders della healthcare rappresenta la mission profittevole del team. Una tag line che conduca ad una brand identity si configura come il core business per una consulting che non prescinda dal counseling e crei il plus di valore ottimale. Allo scopo è necessario considerare gli accordi di co-promotion e di vacancy management all'interno di un corretto market access. Parte fondante di tale project è la costituzione di uno steering committee congiunto e integrato opportunamente con le sales forces che convergano sul target. L'analisi del sell in non può disgiungersi da un equilibrio nel sell out, pena l'aggravamento sull'headcount. Fondamentale deve essere la presenza di un project management che discenda da studi di feasibility e conduca ad una start up unit rivolta all'output al cliente dopo un accurato clinical monitoring. Il range dei servizi offerti deve portare ad un rating di customer satisfaction non inferiore al 78,3%. A questo punto i principali stakeholder interverranno con case history tendenti al consolidamento della leadership. Da non trascurare l'open door e la conseguente house organ che si fonda con la line management.
Quanto descritto rappresenta il grimaldello efficace per lo screening dei clienti e la creazione di un marketing relazionale su misura, evidenziando il profilo di un cliente come” soggetto portatore di profitto differenziato”.
E pensare che fino ad oggi ero così fiero di preparare la mia pomata all'idrocortisone e betametasone, il mio sciroppo di destrometorfano e le capsule di blu di metilene. Ma allora vivevo nell'ignoranza, privo com'ero di tutte queste desinenze in ing, e neppure immaginavo che per rispettare il budget avrei dovuto sommergere i miei pazienti di gadgets.
Però, che volete, mi adeguerò alle leggi del marcreting...

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sabato 16 luglio 2011

Tempo d'estate, tempo di esami 
di Maurizio Bisozzi

Gli esami non finiscono mai, sospirava il grande Eduardo. Lo stesso sospiro dei nostri giovani colleghi freschi e fruscianti come la stampa del loro diploma di laurea, all'atto di prepararsi a superare l'ultimo valico, quello dell'esame di stato.
La diatriba tra i sostenitori e gli oppositori di questo ultimissimo filtro ha radici lontane, non arrivando ai tempi dei guelfi e ghibellini, ma di sicuro almeno alla polemica Rivera – Mazzola in nazionale.
Le accuse rivolte di burocratico ostacolo, di ripetizione stuccosa di esami già superati sono note e bisogna riconoscere loro una certa ragionevolezza. Ma come nasce un esame “inutile”? Unicamente dal suggello che lo Stato pretende di apporre affinché un laureato possa fregiarsi del titolo di professionista. In un periodo storico delicato e attraversato da venti – spesso bufere – di snellimenti e semplificazioni, c'è il rischio di perdere l'equilibrio e cadere nel banale semplicistico.
La nostra professione deve da anni difendersi da attacchi portati da tendenze pseudo-liberiste che minano a sfrondare ogni ramo dell'albero professionale che il farmacista ha coltivato e fatto crescere con amore in faticosi anni di studio universitario. La foglia di fico dell'utilità sociale delle liberalizzazioni nasconde a fatica le pudende mire di schiacciare il farmacista nel ruolo di mero distributore, riducendo gradualmente l'intrinseco valore aggiunto insito nella nostra preparazione universitaria.
I corners della salute nei supermercati ne rappresentano solo l'ultimo aspetto, soddisfacendo essenzialmente la necessità dell'industria e della grande distribuzione di disporre di ulteriori punti vendita.
L'avventura mercantile ha goduto dell'appoggio di politici e associazioni di consumatori, due categorie alla costante ricerca di visibilità mediatica e facili consensi, pronte a inzuppare il pane negli storici ritardi che ostacolano l'apertura di nuove sedi farmaceutiche. Ritardi per i quali sarebbe d'obbligo chiamare anche le varie associazione di categoria – locali e nazionali - a risponderne alla sbarra degli imputati.
A legittimare e nobilitare il grado di semi-farmacie viene chiamato un farmacista  responsabile, privandolo del laboratorio galenico – sua culla e ragione professionale – nonché della delicata e importante gestione degli stupefacenti. Questo novello visconte dimezzato esercita perdendo ogni contatto con farmaci salva-vita, molecole innovative, farmaci fuori prontuario terapeutico, mutilato insomma di buona parte della sua identità professionale, pur di vendere qualche scatola di aspirina e un po' di cremine anticellulite. Come si possa ipotizzare il riconoscimento di punteggi maggiorati ai direttori delle parafarmacie ai fini dei concorsi per l'assegnazione di sedi farmaceutiche è uno dei tanti misteri di un Paese cresciuto – e per questo screditato in tutta Europa – tra condoni e sanatorie aberranti, tanto nel merito quanto nel metodo.
L'esame di Stato finisce per rappresentare una linea del Piave della professione, lo spartiacque che ancora ci difende e ci nobilita – non solo abilita – all'esercizio di una professione che ci colloca fieramente accanto a medici, ingegneri, avvocati, architetti, psicologi e commercialisti.
Tutti i tentativi di abrogazione o di svuotamento della sua importanza vanno nella direzione della perdita di identità professionale e svilimento del ruolo sociale esercitato dal farmacista, una perniciosa deriva commerciale tendente ad asservirci a brame di puro arricchimento che – a parte poche e umilianti eccezioni - non ci appartengono.
Alla luce delle considerazioni fatte, andrebbe inoltre rivalutato il significato del periodo di tirocinio pratico che il laureando spende presso le farmacie prima della laurea, costituendo il ponte ideale tra le nozioni apprese nel percorso universitario e la loro applicazione pratica nella professione.
Posso chiudere un occhio sui colleghi titolari che, in modo quasi scherzoso, accolgono lo studente indicandogli ramazza e straccio, non è al contrario accettabile che la goliardata iniziale diventi la triste quotidianità di un tirocinante trattato alla stregua di bassa manovalanza a costo zero.
Come specularmente vanno combattuti i vergognosi accordi tra tutor e discente tendenti a partorire falsi quadernetti non solo inutili, ma addirittura dannosi, per lo studente prima e per il paziente poi.
Il nostro è un popolo di santi, navigatori e soprattutto furbetti, sempre alla ricerca di
scorciatoie che abbrevino la strada. Cento e passa anni fa Carlo Lorenzini – passato poi alla storia con il nome di Collodi- denunciava il destino che attendeva i vari Pinocchi e Lucignoli, ma ancora oggi la mamma dei furbi compete con quella dei fessi. Spesso le due gravidanze coincidono.


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domenica 10 luglio 2011

Il  vero scandalo
di Maurizio Bisozzi

Le prime pagine di quotidiani e periodici hanno accantonato nobili nozze  e pancioni da grosseuse transalpina: è il momento degli scandali. Bisignani, P4, Milanese, un tourbillon di nomi e sigle accomunati dallo stesso stuporoso termine: scandalo!
Lasciamo la magistratura al suo lavoro e svisceriamo l'etimo della parola: inciampo, impedimento, intoppo. Per il dizionario della lingua italiana si tratta di: turbamento della coscienza collettiva provocato da una vicenda, da un atteggiamento o da un discorso che offende i principi morali correnti; la reazione di riprovazione e di sdegno, lo scalpore suscitato nell'opinione pubblica
Come noterete, si tratta di due interpretazioni dello stesso fatto: la prima focalizza l'interruzione dell'azione, la seconda ne illustra la reazione in chi viene a conoscenza dell'azione.
Senza tirare fuori uova e galline, ma quando nasce lo scandalo? Nel momento in cui il reato si compie o quando se ne viene a conoscenza? Un comportamento è scandaloso solo dopo che viene portato alla luce? E se tale eventualità non si dovesse mai compiere, il gesto sarebbe invece degno di approvazione?
Vantiamo tra i nostri rappresentanti parlamentari un dieci per cento di condannati per reati che spaziano con disinvoltura dal Penale al Civile, più una fetta consistente salvata solo dalla negazione, da parte della Giunta ad hoc, dell'autorizzazione a procedere. All'estero hanno ribattezzato la Camera dei Deputati in camera degli imputati e si fanno beffe del nostro Senato sostenendo che l'Italia ha risolto il sovraffollamento delle carceri  aprendo una succursale a Palazzo Madama. Ma questo per noi non è scandalo, è solo opportunità politica.
Nomine guidate, appalti taroccati, telefonate in entrata e uscita dalle segreterie dei partiti, pizzini, cene d'affari e pranzi di malaffare, portaborse e faccendieri sono scandalosi per il solo fatto di esistere. Della loro esistenza ne siamo tutti, dico tutti  a conoscenza, e non per malizia personale, ma per pubblica denuncia. Nella classifica dei Paesi più corrotti, vantiamo un onorevole (senza allusioni, s'intende!) 67esimo posto, tra il Ruanda e la Georgia. E allora il vero, autentico, quotidiano scandalo è l'accettazione da parte nostra di uno stato di fatto che ci posiziona lontanissimo dall'area europea alla quale dovremmo fare riferimento, relegandoci oltre il Terzo Mondo della onestà pubblica.
Scandalosa è la nostra rassegnazione davanti ad un sistema corrotto e mafioso con il quale ci sporchiamo le mani tutti i giorni, non l'arresto del faccendiere di turno.
Nel nostro mondo professionale è storica la carenza di sedi farmaceutiche territoriali, nella sola Capitale ci sono 160.000 cittadini privi di servizio farmaceutico, tradotto in soldoni ben quaranta farmacie mancanti all'appello. Questo in ossequio al paradosso statistico del pollo mangiato da uno che risulta diviso a metà con un altro, delle sedi del centro storico che fanno media con sterminate e popolose periferie provviste di una, al massimo due farmacie “fortunate”.
Poi sobbalziamo e gridiamo allo scandalo quando vengono selvaggiamente aperte parafarmacie secondo i dettami della legge Bersani, ma è scandalosa la norma che blocca l'apertura di farmacie vere o quella che tanto clamore e indignazione semina tra i colleghi?
Vogliamo parlare dei concorsi poco indetti e mai espletati nel Centro-sud di Italia e di quante parafarmacie siano state aperte in queste zone dagli stessi titolari, già così deliziosamente baciati dalla sorte nel servire bacini di decine di migliaia di utenti?
Continuiamo ad additare il portaborse o il grand commis che ha l'unico torto, ai nostri occhi, di essersi fatto beccare con il topo in bocca: l'ipocrisia, in questo Paese, non fa mica scandalo.

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domenica 3 luglio 2011

I misteri dell'ecomi(st)a
di Maurizio Bisozzi

Per i pochi che non lo conoscessero, il professor Francesco Giavazzi è una delle menti economiche più apprezzate in Italia. Economica non certo nel senso del valore. Laureato in ingegneria al Politecnico di Milano, ha conseguito il dottorato in economia presso il Massachusetts Institute of Technology (Mit ) di Boston, attualmente insegna alla Bocconi di Milano e collabora in qualità di economista con il Corriere della Sera. Nello scorso millennio ha ricoperto un ruolo dirigenziale al Ministero del Tesoro.
Ispirandosi alla scuola di Chicago, è uno dei profeti del liberismo classico e dalle colonne del prestigioso quotidiano milanese si batte strenuamente a favore delle liberalizzazioni nel nostro Paese. Vabbè, mica tutte. Frequenti sono i suoi interventi sui costi che – a suo dire – la collettività sarebbe costretta a sopportare in virtù della mancata liberalizzazione del mercato farmaceutico. Tale liberalizzazione schiaccerebbe a morte le piccole realtà rurali e le più indifese urbane, privando la popolazione di un servizio di prima necessità, ma questo è un problema socio-politico che non turba gli economisti purosangue.
Qualcuno – i maliziosi non mancano mai – insinua che tanta smania di apertura al Mercato della distribuzione farmaceutica sia in relazione all'interesse di uno dei proprietari del gruppo RCS, editore del Corriere della Sera, casualmente anche proprietario della società Autogrill e altre attive nella grande distribuzione, ma queste dicerie sulle liaisons dangereuses tra Benetton e Giavazzi sono solo venticello che non merita ascolto.
Dicevo liberalizzazioni, per molti ma non per tutti. Pochi giorni fa l'esimio Giavazzi, elogiando le proposte di riforme a costo zero, scriveva sul Corrierone: "In Italia ci sono circa 200 mila avvocati, in Francia sono 48 mila. Difficile migliorare l'efficienza della giustizia se non si limita il loro numero. Un avvocato per sopravvivere economicamente deve avere una cinquantina di cause l'anno. Mille professionisti in più significano quindi, in teoria, almeno 50 mila cause l'anno in più. La soluzione è evidentemente il numero chiuso alla facoltà di Giurisprudenza, come peraltro chiesto dagli stessi avvocati."
Ancora turbato dall'imprevisto voltafaccia dell'erede spirituale di Milton Friedman, vengo
soffocato dal sillogismo che mi sale in gola: se la liberalizzazione delle farmacie deve portare a un aumento incontrollato delle stesse, in ossequio alla Legge di Mercato, presto ci troveremmo di fronte a una quantità di farmacisti titolari che “per sopravvivere economicamente” avrà bisogno di un certo fatturato, facendo lievitare i costi pubblici e privati della Sanità. Come gli avvocati.
A quel punto, una volta spalancata la stalla e fatti fuggire i buoi, arriverà la proposta di limitare il numero di laureati in farmacia, prima causa dell'aumento dei costi sanitari.
Professor Giavazzi, io non godo dei suoi titoli e ancor meno delle sue intuizioni economiche, non ho una solida cultura finanziaria alle spalle e mi sembra già molto, per le mie capacità, svolgere umilmente un ruolo sociale così importante e delicato. Però una domanda me la faccio: c'è una convenienza economica che sfugge ai miei limiti nell'incendiare un palazzo per poi far intervenire i pompieri, o evitare di appiccare il fuoco è una possibilità che al Mit non si prende neppure in considerazione?
Non ho mai nascosto le mie difficoltà a capire le teorie economiche, ma un costante e bizzarro paradosso pendolare accomuna liberismo e statalismo keynesiano. Come nel movimento del pendolo, si va in una direzione per poi tornare indietro: far scavare buche agli operai per poi riempirle, alimentare la concorrenza imprenditoriale per poi imporre un numero chiuso.
Sembra lo sciocco correre nella ruota del criceto, ma forse produce energia per mantenere
l'economia. E gli economisti.


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