lunedì 7 maggio 2012

Il dio numero
di Maurizio Bisozzi

C'era una volta la politica. Confusa, spesso opaca, sempre ambigua, un bel giorno
finì per implodere, accartocciata sotto le proprie contraddizioni. Nata per mediare
i contrasti della vita civile invece di orchestrare il bene di tutti, aveva finito
per suonare solo un mandolino a beneficio di pochi. Anzichè dettare gli indirizzi
dello sviluppo, si occupava di sviluppare gli indirizzi delle escort.
E vennero allora i tecnici: seri fino all'austerità, di un rassicurante colore grigetto
dopo tante variopinte mises pacchiane, presero il pallottoliere e instaurarono
la dittatura dei numeri. Da bravi rivoluzionari copernicani, al centro posero
l'astro del Pil, con l'orbitante satellite Spread. Cambiò anche lo stile dei gesti:
basta  con indice e mignolo alzati nelle foto di gruppo, via il medio di Bossi,
unico dito restò l'indice Mib.
Nulla di male, anzi, già nei lontani tempi i pitagorici avevano fatto del numero

una vera divinità e costruito l'altare della tetraktis, per non parlare del Tao
o dei matematici filosofi babilonesi. Nella saggezza popolare, al contrario,
il rapporto dell'uomo con la cifra è sempre stato segnato da una sorta
di sospetto, di reverente diffidenza, di timore. Pensiamo alla cabala,
ai numeri “iellati”, alla gematria, cioè l'antico artificio magico di tradurre
in numeri le parole e viceversa. Saggezza precognitrice dei tempi.
Pitagora sosteneva, e i discepoli Monti, Passera e Fornero predicano,
che il numero è tutto e tutto può essere riportato al numero. Anche l'uomo?
Allora 65 è solo un numero o è l'età in cui un professionista si vede per legge
privato di quella che per molti è stato l'amore e la passione di una vita?
O salendo nella scala sacra dei numeri fino alla tragedia, 32 è solo un numero
o indica gli imprenditori che si sono tolti la vita dall'inizio di quest'anno
per le difficoltà in cui sono stati messi dalla politica dei numeri? La politica

che protegge le cifre delle banche e apre al mercato libero la salute
del cittadino è la stessa che esalta la vendita di – testuale da volantino -
“pane,  latte, due lampadine e farmaci (buono sconto di 50 euro da spendere
presso strutture mediche convenzionate)” nella catena Essere e Benessere
ed è sempre la stessa che, secondo lo studio di Unioncamere, provocherà
130.000 licenziati  entro la fine dell'anno. Ancora: Federlazio denuncia oltre
1000 suicidi tra i lavoratori precari o licenziatinell'ultimo biennio,100.000
sono i dirigenti che hanno perso il posto di lavoro e difficilmente
si ricollocheranno. E allora stiamo parlando di numeri o queste  sono tutte
persone, drammi umani, famiglie distrutte sotto l'impietosa egida del numero
da inserire nella casella “profitti” dei bilanci delle banche
e delle multinazionali del commercio?
Attività oneste e in salute come le farmacie portate in sofferenza economica

fino al collasso, colleghi costretti a lasciare il professionale banco della farmacia
per approdare (quelli fortunati!) al bancone accanto a quello del merluzzo fresco:
solo per soddisfare gli appetiti di qualche squalo chiuso all'ultimo piano
di un grattacielo di Londra o Hong Kong in adorazione della cifra in fondo
alla colonna “ricavi”. Un divino numero, poco importa se bagnato e sporco
di lacrime e sangue di qualche poveraccio.
I numeri della finanza internazionale impongono cure da cavallo, prestando poco
o nulla attenzione se la terapia debella malattia e malato, inseguono il paradosso
grottesco di operazione riuscita e paziente morto.
Signori “gnomi di Zurigo”, acrobati di speculazioni finanziarie su un filo teso

che passa alto sopra i diritti di milioni di lavoratori, nanetti dall’avidità sfrenata,
tornate nel buio delle miniere a cavare pietre preziose e lasciate che l'economia
torni ad essere al servizio dell'uomo e non viceversa. Ne va della sopravvivenza
della dignità della persona, più importante della vita stessa, come scritto da uno

degli ultimi, disperati, imprenditori prima di farla finita.
L'unica pseudo misurazione accettabile per l'uomo è quella di Solone, quando
affermava: «La cosa più difficile di tutte è cogliere l'invisibile misura
della saggezza, la quale sola reca in sé i limiti di tutte le cose».